Facciamo un pò di chiarezza su questi due termini, che generano sempre un po’ di confusione. Quando parliamo di decimi intendiamo quante righe un paziente riesce a leggere, delle dieci che gli presentiamo sulla tabella ortottica. Di conseguenza, avere dieci decimi di vista vuol dire riuscire a leggere tutta la tabella, mentre averne soltanto un decimo o due decimi significa possedere una capacità visiva molto ridotta. Le diottrie invece sono la misura della potenza di una lente: quanto più questa lente fa convergere le immagini, tante più diottrie possiede. E quindi, più sono le diottrie, maggiore è il difetto visivo. Ma attenzione: tra decimi e diottrie non c’è una corrispondenza diretta. Perché, per esempio, un paziente ipermetrope con un difetto in diottrie elevato in realtà potrebbe comunque ancora vedere bene, mentre un miope a cui manca magari anche soltanto una diottria, potrebbe invece vedere solo pochi decimi.
Quindi queste due misure non rappresentano la stessa cosa: i decimi indicano il potere, la capacità visiva; le diottrie invece indicano il tipo di lente necessaria al paziente per risolvere il suo difetto refrattivo.
L’occhiale non lo fa stancare? Davvero è necessario che lo indossi dalla mattina fino alla sera?”. Sono domande che i genitori fanno spesso. La risposta è: l’occhiale prescritto va portato sempre. Quando l’oculista decide che il difetto refrattivo deve essere compensato è bene che tale compensazione sia continuativa, per tutta la giornata. Questo dev’essere ben chiaro. Purtroppo se noi abbiamo dubbi e facciamo capire al bambino che si può o si deve cambiare l’occhiale ogni tanto, che può toglierlo 6 L’oculista risponde e rimetterlo quando vuole, gli diamo indicazioni sbagliate e contraddittorie. Mentre invece ha bisogno di direttive chiare e corrette, di indicazione precise. L’atteggiamento lassista del genitore o quello della nonna che arriva e gli suggerisce di togliere l’occhiale per riposare gli occhi, non sono giustificati e non fanno nemmeno il bene del bambino.
Insomma: l’occhiale, quando è prescritto, deve essere indossato tutta la giornata.
Prescrivere gli occhiali così precocemente ha senso soltanto nei rari casi in cui c’è una grande differenza di visus tra un occhio e l’altro, oppure quando il difetto è davvero rilevante. Infatti sotto l’anno di vita in genere il bambino miope non fa molto caso al suo difetto, perché tutto ciò che lo circonda, tutto il suo mondo, è molto vicino. E i miopi da vicino non hanno problemi. Quindi questo difetto, di solito, non gli provoca fastidi. E non danno grandi problemi nemmeno gli altri due possibili difetti di refrazione, l’ipermetropia e l’astigmatismo, perché non causano mai un minus visivo davvero rilevante. Per questo tendiamo a evitare l’uso di lenti nei bambini ancora piccoli, intendo con meno di un anno o due di vita. Ma non è l’unico motivo per cui a quell’età evitiamo di prescrivere occhiali: bisogna anche sapere che nei primi tre anni di vita l’organismo cambia e si trasforma di continuo. Il complesso sistema refrattivo dell’occhio si evolve, si modifica. Quindi fidarsi di una misurazione del potere refrattivo fatta così precocemente è obiettivamente un po’ esagerato.
A mio parere, insomma, l’occhiale non va prescritto ai bambini molto piccoli, tranne in casi particolari.
Per il medico oftalmologo, una delle cose più difficili da spiegare ai genitori è che un difetto ipermetropico del bambino, normalmente si risolve da solo, e quindi non occorre prescrivere occhiali. Di solito, quando il valore ipermetropico è inferiore alle tre diottrie e il bambino ancora molto piccolo, l’occhiale è inutile, perché con la crescita si verifica una spontanea regressione del difetto. Soltanto nei casi in cui l’ipermetropia è più importante, intendo dire superiore alle tre diottrie, è bene prescrivere l’occhiale, perché allora è piuttosto difficile che il problema si risolva completamente.
Certo, una piccola fluttuazione in positivo, un miglioramento ci potrà essere, ma se il difetto è così rilevante in partenza, la riduzione dell’ipermetropia non sarà mai tale da poter evitare al bambino di portare l’occhiale. Tuttavia la forte ipermetropia non è frequente: nella maggior parte dei casi risulta modesta, e risolvendosi da sola, non richiede la prescrizione di occhiali
La domanda non è nuova, ma oggi ha finalmente delle risposte incoraggianti. Abbiamo ormai la certezza scientifica, che esistono delle strategie terapeutiche efficaci per controllare e rallentare l’evoluzione della miopia. La prima è sicuramente quella farmacologica, che consiste nell’utilizzo dell’atropina, un farmaco noto da molto tempo (per altre indicazioni), usato sotto forma di collirio ad un bassissimo dosaggio, senza effetti collaterali, da instillare tutte le sere, prima di dormire. Consigliato in età scolare, è efficace in sei bambini su dieci e riduce la progressione della miopia nel 60% dei casi. Sembra che, per un complesso meccanismo, ostacoli l’allungamento del bulbo oculare, che è la causa della miopia.
Si hanno risultati molto interessanti anche con occhiali che montano particolari lenti, dette defocalizzanti. Queste mettono a fuoco la parte dell’immagine proiettata al centro della retina ma sfuocano quella tutt’intorno. L’idea che sta alla base di queste lenti è quella di trasferire al cervello la sensazione di un occhio che è già cresciuto, che non ha bisogno di crescere ancora. In pratica lo “convincono” così a non allungare ulteriormente il bulbo oculare (che come ho detto è la causa stessa della miopia). La tecnica di defocalizzare per ingannare il cervello, che sembra sempre più efficace, si è sviluppata negli ultimi cinque sei anni, e oggi sul mercato si trovano molte lenti che producono questo effetto.
Esistono poi anche altri metodi come per esempio l’ortocheratologia, ovvero particolari lenti a contatto da indossare di notte mentre si dorme. Queste sarebbero in grado di “guidare” la crescita delle cellule dell’epitelio della cornea, dando a quest’ultima una lieve capacità di correggere l’errore refrattivo. Ma personalmente non le prescrivo: noi oculisti abbiamo poca dimestichezza con le lenti da portare di notte, e anzi un po’ forse le temiamo.
Atropina e lenti defocalizzanti sono a mio parere oggi i mezzi più interessanti, in grado di frenare il progredire della miopia nei bambini.
Diciamo intanto che le lenti fotocromatiche, quelle che diventano più scure quando la luce è forte e più chiare quando invece è debole, sono sicuramente una grande comodità. Certo, hanno il difetto di scurirsi e schiarirsi un po’ lentamente: il passaggio da chiaro a scuro e viceversa non è immediato, c’è sempre un tempo di latenza rilevante.
Chi le usa, parlo degli adulti, sa bene che, portandole quando si guida, entrare e uscire dalle gallerie crea qualche problema, perché l’adattamento alle condizioni di luce non è immediato. Tuttavia se parliamo di bambini, che hanno esigenze diverse (non guidano...), presentano un grande vantaggio: con un solo occhiale dotato di lenti fotocromatiche si affrontano tutte le condizioni di luce. Non si è obbligati ad averne due. In più, va detto anche che le lenti fotocromatiche sono migliorate negli ultimi anni. Quelle attuali, oltre ad aver ridotto il tempo di latenza per passare da chiaro a scuro e viceversa oggi hanno anche un aspetto più “naturale”. In passato dovevano già essere un po’ scure già in partenza, in condizioni di luce debole, per riuscire a diventare davvero scure quando occorreva.
Oggi non è più così: quando devono essere chiare lo sono davvero. Se questa evoluzione non ha ancora permesso di superare tutti i limiti delle lenti fotocromatiche quando sono destinate agli adulti, certamente le ha rese molto più pratiche per essere usate in età pediatrica. Quindi sì, le lenti fotocromatiche sono sicuramente consigliabili per i bambini.
Quando una patologia è pronunciata ed evidente, i medici sono sempre concordi sulle terapie da adottare. Ma in oftalmologia, quando si ha a che fare con difetti modesti e per di più nei bambini, che hanno un organismo in continua evoluzione, noi oculisti non abbiamo sempre lo stesso parere sul prescrivere o non prescrivere occhiali.
C’è chi lo fa e ne raccomanda l’uso in modo molto stringente, con severità, mentre qualcun altro invece è più lassista. Come mai? Ci sono idee e “filosofie” terapeutiche diverse, ciascuna con le sue ragioni. Personalmente, questa è la mia opinione professionale, ritengo che nei bambini molto piccoli i difetti di refrazione modesti quasi sempre non abbiano bisogno di essere corretti con lenti. Un po’ diverso è il discorso per quelli già in età scolare: per loro bisogna capire quanto il difetto crea problemi. Se il bambino è miope, non vede bene la lavagna oppure si sente inferiore ai compagni perché vede male e ne soffre, l’occhiale può risolvere la situazione. Ma ci vuole sempre cautela perché quando si prescrive l’occhiale troppo presto a un miope, c’è il rischio che la sua miopia evolva più rapidamente.
Quando invece si tratta di ipermetropia, che comporta solitamente alterazioni visive molto piccole, obiettivamente preferisco non costringere il bambino a questa correzione se non è davvero indispensabile.
Insomma, in molti casi i bambini possono fare a meno degli occhiali, sono davvero necessari solo in determinate situazioni.
Qualcuno pensa che l’ottico sia una specie di medico abusivo al quale non sia appropriato chiedere consigli. Io non sono assolutamente d’accordo. Ritengo che l’ottico di fiducia sia una risorsa sociale molto importante. L’ottico, infatti, è il punto di riferimento sempre a portata di mano e quindi chi ha un problema di vista spesso si rivolge all’ottico per un primo consiglio così come si rivolge al farmacista per problemi differenti.
È ovvio che l’ottico non può risolvere tutto perché il medico oculista ha delle peculiarità assolutamente non sostituibili. Ma è un primo aiuto importante, e concorre a creare quella relazione che si deve instaurare tra il medico oculista, il paziente, e l’ottico stesso. La collaborazione tra questi tre soggetti non può che essere benefica per salute oculare del paziente. Quindi ben venga l’ottico di fiducia, come prima linea di difesa degli occhi.
I difetti di refrazione nel bambino sono la miopia, l’astigmatismo e l’ipermetropia. Il miope vede male da lontano. L’astigmatico vede così così a tutte le distanze. L’ipermetrope distingue peggio gli oggetti vicini di quelli lontani, ma ha una grande capacità di compensare il suo difetto. Dietro l’ipermetropia sperò pesso ci possono essere dei problemi, come lo strabismo. Ma arriviamo al diffusissimo occhio pigro: capita abbastanza frequentemente che l’ipermetropia del bambino sia asimmetrica, cioè di valore diverso da un occhio all’altro.
E ugualmente asimmetrico può essere l’astigmatismo. In questi casi è molto facile che insorga un problema di ambliopia, cioè il cosiddetto occhio pigro. Questo accade perché il bambino finisce per utilizzare sempre l’occhio con cui fa meno fatica a vedere, escludendo l’altro che si “infiacchisce”. Questa condizione patologica può comunque essere curata e recuperata con le tecniche opportune. Paradossalmente la miopia asimmetrica, invece, ha un’azione quasi preventiva nei confronti dell’occhio pigro. Perché il bambino utilizzerà l’occhio miope prevalentemente per osservare le cose da vicino, mentre per guardare lontano utilizzerà l’altro, quello non miope (o meno miope). In tal caso, sia pure in modo un po’ inconsueto, entrambi gli occhi lavorano e la ambliopia è meno probabile.
L’occhio pigro insomma è causato soprattutto da astigmatismo e ipermetropia asimmetriche.
I pediatri definiscono red flags, cioè “bandiere rosse” alcuni sintomi o esiti di esami clinici che non bisogna mai sottovalutare, perché segnalano patologie non banali, per le quali sono necessarie misure terapeutiche tempestive. Esistono red flags anche in oftalmologia pediatrica, e voglio spiegare quali sono le principali.
La più importante è una alterazione nel test del riflesso rosso. Mi spiego meglio: il riflesso rosso è quello che noi a volte provochiamo per sbaglio quando facciamo una fotografia in un ambiente semibuio e gli occhi risultano rossi. L’oculista, invece, lo provoca volontariamente, proiettando una luce nell’occhio. Se il riflesso rosso che ne risulta è regolare, tutto bene. Ma quando il riflesso prende altri colori, presenta alterazioni significa che l’occhio ha dei problemi, spesso seri. Questo esame, che viene fatto principalmente sui neonati, è così importante che di recente è entrato a far parte dei LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza. Infatti un riflesso rosso alterato e asimmetrico può essere causato anche da un tumore maligno, il retinoblastoma. Oppure da una cataratta congenita, o da altre patologie ancora piuttosto serie.
Altra red flag è l’occhio rosso nel bambino, un sintomo ben evidente. Un occhio che resta infiammato, rosso, per più di un giorno o due (soprattutto se è un solo occhio, non entrambi) deve sempre essere valutato dall’oculista, perché l’alterazione può essere il segnale iniziale di diverse patologie. Altra situazione che merita sempre di essere approfondita da una visita oculistica è quella in cui l’occhio presenta una secrezione abbondante. È una condizione molto meno grave delle precedenti, spesso legata all’ostruzione del dotto nasolacrimale, ma il parere dello specialista è necessario.
Un moderato gonfiore dell’occhio, invece, di solito non è preoccupante. Normalmente è dovuto a un calazio o un orzaiolo. Qualche volta può trattarsi di una cellulite presettale: niente a che vedere con il ben noto inestetismo, questa è un’infiammazione del tessuto palpebrale! In casi più rari e per scoprirla è indispensabile una tempestiva visita oculistica può trattarsi di cellulite orbitaria. Questa è una patologia un po’ più seria, che interessa i seni paranasali, le cavità pneumatiche del cranio.
Alle red flags vere e proprie che ho elencato ne aggiungo un’altra, più blanda ma da non sottovalutare: attenzioni ai bambini che tengono costantemente la testa inclinata, in posizioni viziate, perché in un caso su tre la causa è un difetto visivo. E un controllo oculistico lo scopre facilmente.
Concludendo: attenti ai rossori, ai gonfiori degli occhi, richiedete se non viene fatto di routine un esame del riflesso rosso per il vostro bambino alla nascita, e nel dubbio rivolgetevi sempre all’oculista.
La montatura, in età pediatrica, deve avere due caratteristiche fondamentali per la sicurezza: non presentare parti in grado di graffiare o ferire la cute e soprattutto ospitare lenti infrangibili, cioè che non si possano frantumare. I bambini sono soggetti a traumatismi più frequenti degli adulti, e quindi devono essere protetti da incidenti.
Poi, gli occhiali devono restare ben saldi su orecchie e naso: per questa ragione la montatura deve avere un ponte, cioè quel sostegno che connette le due parti cui sono fissate le lenti, che sia basso in modo da poggiare bene sulla radice del naso. Questo perché il bambino non ha le ali nasali formate e altrimenti l’occhiale scivolerebbe. Inoltre, occorre che la montatura aderisca bene alle orecchie. Non deve però andare dietro al padiglione auricolare, nè “aggrapparvisi” facendo una sorta di ricciolo, perché a lungo andare ne possono derivare dei piccoli traumatismi. Ci siamo resi conto tutti, nel periodo in cui bisognava utilizzare per ore e ore le mascherine, di quanto questa pressione continua sulla parte posteriore dei padiglioni auricolari sia fastidiosa.
Altro accorgimento importante: il margine superiore della montatura deve trovarsi leggermente sopra il sopracciglio, perché il bambino, data la sua statura, guarda spesso verso l’alto. Quindi è importante che la correzione sia efficace anche quella parte del campo visivo.
Torno ancora sull’argomento lenti: è assolutamente necessario usare quelle infrangibili, anche se tendono a graffiarsi un pò di più. È una questione di sicurezza. Per fare sport ne esistono di progettate appositamente, tuttavia il mio consiglio è di lasciare che il bambino sia libero da costrizioni quando fa esercizio fisico, senza occhiale, insomma. Anche se l’oculista è stato molto stringente nel suggerire di portarlo in ogni occasione, io credo che, per quell’ora di sport, di nuoto o altro si possa benissimo farne a meno. Naturalmente, quando il problema visivo è più consistente e crea delle difficoltà anche durante la pratica sportiva, le soluzioni esistono: occhiali da sport, come ho detto, occhialini da nuoto graduati e quant’altro.
In sintesi comunque, i concetti base per le montature dei bambini devono essere sicurezza e perfetta indossabilità.
Gli occhiali da sole sono sicuramente consigliabili anche ai bambini perché l’esposizione prolungata ai raggi ultravioletti è effettivamente dannosa per gli occhi. Ma vanno usati con un po’ di buon senso. Nell’acquistarli, per prima cosa, assicuriamoci che le lenti siano davvero dei filtri solari, cioè che non siano semplicemente oscurate. Per essere dei veri filtri, devono assorbire efficacemente i raggi ultravioletti. Altrimenti sono inutili. La capacità filtrante della lente è garantita dal marchio CE e la dicitura 100% UV400. Deve però essere chiaro che pur essendo utili, gli occhiali da sole non vanno utilizzati ogni volta che bambino mette il naso fuori di casa. Non dobbiamo abituarlo a essere sempre protetto integralmente dal sole, perché in fondo la luce solare ha i suoi aspetti positivi, si pensi solo che è grazie alla sua azione diretta sulla pelle che viene sintetizzata la vitamina D, necessaria allo sviluppo delle ossa durante la crescita.
E poi l’uso continuo degli occhiali da sole finisce col caratterizzare e nascondere eccessivamente il viso di un bambino. Pensate che ogni fotografia che gli verrà fatta all’aperto ritrarrà un viso “oscurato”, senza l’espressione degli occhi. Può essere un dettaglio ma anche certi aspetti psicologici sono importanti. Insomma, io non sono favorevole all’utilizzo eccessivo e continuo degli occhiali da sole: penso che per andare a fare una passeggiata nel parco un cappellino con visiera sia sufficiente. Però onde evitare equivoci, chiariamo: in certi altri contesti, come al mare dove il riverbero è forte, o in alta montagna e peggio ancora sulla neve, è necessario, anzi obbligatorio usarli per proteggere gli occhi.
In conclusione: gli occhiali da sole ci vogliono, perché i raggi ultravioletti possono fare danni; ma vanno adoperati con misura e buon senso.
Il primo controllo oftalmologico dovrebbe avvenire, e oggi effettivamente avviene, alla nascita. Infatti ormai il test del riflesso rosso, di cui ho già parlato, è entrato a far parte dei LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza, e viene quindi eseguito in tutte le neonatologie d’Italia. È importantissimo per scoprire alcune patologie molto serie. Così importante che vorrei suggerire di sollecitare l’applicazione di questo test, qualora ci si accorgesse che non viene ancora praticato nel reparto di neonatologia cui ci si rivolge. Il test del riflesso rosso viene poi ripetuto dal pediatra di famiglia, non appena gli viene assegnato il bambino.
E l’oculista, quando entra in gioco? Dipende. Il suo intervento può essere necessario molto presto, anche poco dopo la nascita, quando c’è il rischio genetico - se non la presenza - di patologie rilevanti come la cataratta congenita, il glaucoma congenito oppure il retinoblastoma. In situazioni più normali invece si seguono le indicazioni del pediatra: se lui ritiene che ci sia qualcosa da approfondire, la prima visita oculistica può essere fatta prima dei tre anni.
In ogni caso però, tutti i bambini devono essere visti dall’oculista durante il terzo anno di età, fra i 36 e i 40 mesi. È una tappa necessaria per tutti, anche per quelli che non hanno mai avuto problemi e sono già stati sottoposti a tutti i controlli di screening dall’occhio al nido, dal pediatra o anche dall’oculista. Avere un quadro preciso della situazione a questa età può aiutare a prevenire problemi futuri. L’altro momento importante è poi quando il bambino si appresta ad andare a scuola, cioè verso i cinque – sei anni. È opportuna, allora, una nuova visita completa, perché a quella età il bambino ha già acquisito tutte le informazioni visive possibili ed è in grado di comunicare bene con noi, di raccontarci dei suoi problemi, di come vede. Da quel momento in poi la frequenza con cui il bambino deve farsi visitare dall’oculista viene deciso caso per caso.
In linea generale si può dire che gli occhi vanno controllati alla nascita, e poi, se tutto va bene e non ci sono problemi, almeno a tre anni e a cinque-sei.